giovedì 3 novembre 2011

Zero


Le stagioni sembrano fatte apposta per riflettere lo stato d'animo della gente. Finita l'esplosione dell'allegria e del calore estivo, le foglie giallastre autunnali mestamente cadono, si mischiano a lacrime, a pioggia. D'improvviso il vuoto, un buco enorme nel cuore, nello stomaco, davanti a te: un fosso gigante da saltare, non vi è alcun guado. November Rain.
Mesi senza scrivere se non per la scusa di una remunerazione minima, necessaria per andare avanti. Due, tre, quattro dita muovono discorsi immaginari. Apparentemente uno sfogo. Quasi senza senso né comprensione. Parole vuote.
Un'altra cicatrice, stavolta interna, forse fa più male.
La strada si staglia lungo di te, una volta passato il fosso non si intravede il seguito. A tentoni, l'unica soluzione, assaggiando la vita morso dopo morso, sputando, ingoiando, cadendo e rialzandosi.
Inciampare sulla pietra che tu stessi hai tirato duole, il rimbombo di un capitombolo aumenta invece di diminuire. Rotolare all'infinito?
Si dice che sbagliando si impara. Evidentemente non è così, si sbaglia sempre di più, pagando lo scotto attraverso ferite vive. O forse si impara quando si è consapevoli che la ricreazione è finita, arriva il momento di rimboccarsi le maniche e tirare dritto. Tirare dritto, ma dove? E se oltre il fosso ci fosse un baratro?

lunedì 16 maggio 2011

Scusate il ritardo...


“Papà, mi porti a vedere Maradona?” La richiesta innocente e speranzosa di un bambino durante i suoi primi e timidi approcci a quella malattia tutta azzurra che si chiama Napoli. Emozioni per uno scudetto che percepì più di riflesso che per averle provate sulla mia pelle, non avrei ma immaginato di aver dovuto aspettare tanto ancora.

Lo scudetto non c’è, agognata chimera destinata a fermarsi su al Nord, ci ha ammaliato per un attimo e poi traditrice ci ha lasciato, complice la troppa euforia mista all’eccessiva pressione. Vari rituali scaramantici s sono susseguiti, la tremarella nelle gambe dei giocatori veniva alleviata dall’urlo dei tifosi. Il mio veniva da lontano, per forza di cose, eppure sono sicuro che è riuscito a farsi sentire. Rinchiuso in una stanza cercando un segnale decente, in qualsiasi lingua del mondo, a volte senza nessuno attorno a me da abbracciare eccezion fatta per un paio di cuscini.

Ieri non era un giorno qualsiasi. Un primo tempo riversato nel pathos malinconico di un eventuale fallimento, condito da una camomilla necessaria per la nausea che aveva caratterizzato le ore precedenti al fischio d’inizio. Uno schiaffo. La passione in pieno mese di Maggio. Una scintilla insperata e poi la festa. Sempre da lontano, ma solo col corpo.

Ieri è stato la storia, non so da quanto non piangevo, di gioia intendo. Adesso si che lo sentivo, l’irrigidirsi della pelle e il volto stanco per l’allegria immensa, per qualcosa che non molti possono capire ma che chi sa condividerlo sa essere un tesoro raro. Anni di calici amari, di sventure, di fallimenti venivano spazzati via in un urlo orgasmico decisivo, solitario y final, come direbbe Soriano.

Eh si, io che ho vissuto dal vivo l’Inferno della serie C e la maggior parte degli anni allo stadio li ho passati quando eravamo in B a sporcare la maglia azzurra di fango, adesso voglio gridare e liberarmi, adesso voglio sentire una musica speciale riservata a pochi, adesso voglio calcare nuovi palcoscenici, sempre con te, l’unico amore eterno della mia vita…

Inutile impelagarsi in retoriche fasi fatte, adesso urliamo e godiamoci questo momento. Di lacrime di gioia, si spera, ne arriveranno ancora altre…

domenica 20 marzo 2011

Coinvolti, impotenti


Tutti al banchetto, invita il Colonnello!
In questo modo si potrebbe leggere tra le linee il messaggio di una guerra imminente; un simile messaggio si può scorgere dopo una prima analisi al riguardo.
ONU contro Gheddafi. La "Libia" contro il mondo, direbbe quest'ultimo.

Il precipitare degli eventi dell'ultima settimana ha dato la scossa al mondo intero: una risoluzione ONU approvata all'unanimità secondo i dettami imposti nel 1973, casualmente anno di grande crisi petrolifera e della guerra dello Yom Kippur.
La grande abbuffata vede come commensali principali i soliti noti: USA Francia e Gran Bretagna si imboccano a vicenda, mentre la Russia - quasi a voler rispolverare l'antico clima di guerra fredda - stigmatizza gli attacchi a tappeto.

Missili Tomahawk e Cruise come se piovesse.

E l'Italia, nel mezzo. Come un antico compagno di merende che ti volta le spalle in un momento cruciale. Tuttavia anche stavolta, lo stato italiano - spaccato al suo interno e con un non-governo che farebbe invidia persino al Belgio - continua a fare la parte della pecora.

Gli appoggi logistici all'ONU vengono rimpallati dalle dichiarazioni rabbiose di Bossi e dalle svogliate esternazioni remissive di Berlusconi.

Nel bel mezzo di uno scontro che farà storia - da 17 anni le Nazioni Unite non intervenivano militarmente in un area strategica così vicina al Bel Paese - l'Italia da un lato si associa all'attacco congiunto e dall'altro quasi sembra aver paura di una reazione dell'ex amico ormai alle corde.

L'ennesima guerra-pretesto per accaparrarsi il tanto amato petrolio - ora che il nucleare torna ad essere un'arma a doppio taglio (ma non lo era già?) - profila uno scenario difficilmente immaginabile. Una dittatura che dovrebbe lasciare spazio a una presunta democrazia senza basi, un paese da ricreare dopo averlo raso al suolo, ma del resto non c'è altra scelta.

I protagonisti della politica bellica internazionale sono sempre loro, piaccia o no gli Stati Uniti sono ancora i difensori della pace mondiale e troveranno sempre i loro alleati pronti a fargli ponti d'oro. Se poi sono di petrolio, ancora meglio...

Eppure l'Italia non è padrona del suo destino, segue un inerzia automatica, ne è costretta. E ne pagherà le conseguenze più degli altri.

E' come se avessero invaso il tuo giardino per una festa senza chiederti il permesso, ma per un buon fine. E dopo toccherà a te pulire e mettere tutto a posto, con il rischio di rappresaglie da parte del tuo vicino...

Forse il Colonnello al banchetto non ha invitato nessuno, ma non sarà strano se alla fine a spartirsi i dividendi della torta finale saranno gli abituali clienti delle taverne mondiali...

domenica 27 febbraio 2011

L'urlo in gola


Un distratto controllo di una pagina web, sbattuto su un letto non tuo. Poi un salto, un grido senza controllo. Quello che aspettavi da tanto.
Un messaggio vola lontano. Il destinatario sa già. Poco prima del ritorno a casa è tutto programmato. Per un atto di fede o di amore, o come vogliate definirlo.
E l'attesa lunga più di due mesi ti rode, ti assilla, rimbomba nel petto.

Di nuovo su un treno. Ma non è il solito viaggio errante, senza meta, apparentemente senza senso. E pensi a un racconto di tuo padre, quando tu ancora bambino sentivi quel calore pur senza sapere il perché, quando sorridevi insieme a lui anche se solo di riflesso. Memore di quel ricordo, zaino in spalla e via.

Una scusa perfetta per ritrovare un amico prezioso. Il clima di goliardia la perfetta cornice. E i soliti discorsi che non annoiano mai, le birre bevute in fretta e furia.

E l'adrenalina che sale...

Il teatro è piccolo, spigoloso, ma nel momento in cui si apre il sipario, tutto si ferma.

Impossibile trascrivere l'altalena di emozioni che senti sulla pelle. Devi solo far si che tutto scorra.

E allora quando vedi incredulo la rete gonfiarsi, titubante per un possibile fuorigioco quasi non reagisci. Per un secondo, solo uno. Poi esplodi, inizi a tracciare i passi di una improbabile danza rituale vudù e cerchi di non cadere, cercando l'appiglio e l'abbraccio del tuo compagno di avventure.

IL BOATO.

Sei li. Cerchi vanamente di indovinare l'autore del gesto epico ma poco importa. Il ruggito è tanto forte e l'emozione incontenibile che un gruppo di persone non riesce a contenere la gioia e rotola in campo. Normale amministrazione, per una mandria di pazzi esagitati come te, che ancora non sai se è vero.

Il tempo passa. L'opportunità di sigillare l'impresa sfugge via. E' troppo bello per essere vero. E all'improvviso il gelo. Quei 5 minuti che non vorresti mai più rivivere.

Quell'urlo strozzato in gola. Quel dolce sapore che si tramuta in un'acre sensazione. Testa in giù. Sguardo assente. Niente da dire.

Ti aggrappi a qualcosa, alla presenza di un Deus ex-machina che tardivamente appare e cerca di trovare il bandolo della matassa. Ma stanotte gli dei del calcio non ti sorridono. Il maledetto stridio del pallone è l'arma a doppio taglio di un amore-odio che corrobora e corrode al contempo.

Soffrire per amore.

Eppure eri lì, partecipando, soffrendo, amando, sentendo.

Ma prima di voltare l'ennesima pagina di questo cuore azzurro, stavolta puoi metterci la tua firma. Occhi in lacrime e cuore in gola.

Nonostante tutto...

Io c'ero