venerdì 25 aprile 2014

Entre cuadras y jardines

El sonido de las obras en el taller de enfrente, alarma automático de cada mañana de mi estancia porteña, sigue marcando el ritmo de los días, salvo escasas excepciones en las que me quedo dormido hasta las tantas (como mucho las 10). El café y la radio acompañan el lento despertar para dejar paso a la tecla hasta que el sol que se asoma invita a respirar un poco de la contaminación ciudadana y salir a la calle.

Entre paseos peatonales sin sentido y buses que compiten entre ellos mejor centrarse en el camino, repleto de agujeros en la acera, hasta llegar a un cruce donde cualquier intenta venderte chocolatinas, no como en mi país, dónde la gente más desesperada intenta limpiar el parabrisas de los coches. También por esos detalles se nota el grado de dulzura de la gente que vive la calle durante las 24 horas.

Muchas cosas que tenemos al alcance no las notamos a la primera. Ni a la segunda. Tal vez las notamos cuando salimos con una cámara, la perfecta excusa para hacer retratos de personas, cosas, situaciones. Fallando se cometen muchos errores,  y de paso caminando se aprende a conocer. Entre un intento y otro de varias fotos, es bonito perderse en un enorme jardín en el medio del bullicio.


El ruido del tráfico contrasta con la paz de las plantas, cuyos nombres en latín suenan ya a árabe y cuyas hojas crean lindos juegos de luz a través del contraste. El diafragma casi se niega a moverse y las fotos salen, como siempre, sobre expuestas. O borrosas, como esa que se ve aquí.

Pero no importa. Es una imagen de una tarde diferente, en la que ya puedo dejarme llevar por la paz del lugar y disfrutarlo, sentarme y relajarme, sin un móvil en el bolsillo que me notifique nada. Ya habrá tiempo de sobra para que la monotonía del trabajo me vuelva atrapar en su espiral.

mercoledì 16 aprile 2014

Fiume d'argento

L'insenatura che proviene dal nord e che in seguito si trasforma in una vasta distesa di color terra sembra un mare enorme appena un po' sporco, invece è solo un fiume. Le apparenze ingannano, dicono. In effetti chiunque si rechi nel luogo dove ho deciso di passare il mio pomeriggio di ieri, a prima vista direbbe che il Río de la Plata non è un nome corretto. Letteralmente, Fiume d'Argento, questa vasta distesa d'acqua dolce dà l'impressione di essere tutt'uno con l'Oceano, nel quale sfocia pian piano mentre scende a sud.

È incredibile di come ci si possa rendere conto di non conoscere ancora dei luoghi significativi della città che ti ospita. Ma la grandezza di Buenos Aires non aiuta, né tantomeno invita a scoprire nuove realtà. Quella che in Europa sarebbe un agglomerato di dimensioni spropositate, se non una regione, qui non è altro che la capitale, attorno alla quale si accumulano decine e decine di municipi a sé stanti, definiti il Gran Buenos Aires.

È dura, quindi, trovare un attimo di pace dal roboante tran tran quotidiano di strade intasate e di autobus che fanno a gara tra di loro nel traffico. Il sole di oggi e i 22 gradi, oltre a una mattinata incredibilmente produttiva a livello lavorativo, hanno svegliato il mio corpo dal torpore ed incoraggiato le gambe a mettersi in moto per raggiungere un angolo più quieto dove poter rilassarmi senza per forza lasciarmi andare sul letto mai fatto.



Una passeggiata digestiva di 6 km, per poi contemplare l'immensità del fiume, che ormai di argento ha solo i riflessi, ma ricorda nostalgicamente quel mare lasciato lì ad aspettare, dall'altro emisfero del globo. Mentre i vecchietti che si fermano lì a pescare hanno la stessa espressione rassegnata di coloro che 4 anni fa attendevano speranzosi che qualche pesce abboccasse sul ponte Galata di Istanbul, o di quelli che si siedono pazientemente sul moletto di Nova Icaria a Barcellona o dei poveri illusi giù alla Gajola.

Io, invece, sono sempre lo stesso. Più grande, più acciaccato e magari più saggio. Il resto lo fanno un po' di musica, che si alterna con il rumore degli uccelli durante un tentativo di leggera meditazione, e la mia macchina fotografica, sprecata per un incompetente della luce come me. I restanti 3 km che mi separano dal ritorno a casa sono quelli più pesanti, ma fanno sì che il rientro sia in qualche modo meritato. E a quel punto posso tornare a collassare sul letto, come tutti gli altri giorni.