giovedì 3 novembre 2011

Zero


Le stagioni sembrano fatte apposta per riflettere lo stato d'animo della gente. Finita l'esplosione dell'allegria e del calore estivo, le foglie giallastre autunnali mestamente cadono, si mischiano a lacrime, a pioggia. D'improvviso il vuoto, un buco enorme nel cuore, nello stomaco, davanti a te: un fosso gigante da saltare, non vi è alcun guado. November Rain.
Mesi senza scrivere se non per la scusa di una remunerazione minima, necessaria per andare avanti. Due, tre, quattro dita muovono discorsi immaginari. Apparentemente uno sfogo. Quasi senza senso né comprensione. Parole vuote.
Un'altra cicatrice, stavolta interna, forse fa più male.
La strada si staglia lungo di te, una volta passato il fosso non si intravede il seguito. A tentoni, l'unica soluzione, assaggiando la vita morso dopo morso, sputando, ingoiando, cadendo e rialzandosi.
Inciampare sulla pietra che tu stessi hai tirato duole, il rimbombo di un capitombolo aumenta invece di diminuire. Rotolare all'infinito?
Si dice che sbagliando si impara. Evidentemente non è così, si sbaglia sempre di più, pagando lo scotto attraverso ferite vive. O forse si impara quando si è consapevoli che la ricreazione è finita, arriva il momento di rimboccarsi le maniche e tirare dritto. Tirare dritto, ma dove? E se oltre il fosso ci fosse un baratro?

1 commento:

  1. questa poesia,sa cogliere il senso non solo dell inverno che porta con sè toni profondi di solitudine.
    mà allo stesso tempo le parole stesse raccolgono la realtà di ciò che non tutti sanno vedere! complimenti.

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