lunedì 15 dicembre 2014

Rendere possibile l'impossibile

Non amo la facilità. Non mi stimolano i risvolti semplici. Non mi attira ciò che è già pronto per essere apprezzato. Preferisco, da sempre, arrovellarmi il cervello e accapponarmi il cuore. Non a caso tifo Napoli. Anche giorni fa, dopo un'assenza di quasi 4 mesi allo stadio, ho strabuzzato gli occhi e sofferto per un pallone che rotola così come mi accade quando amo qualcuno.

Per non parlare di oggi, quando una sconfitta amara accorcia ulteriormente delle giornate già di per sé abbastanza scure, in attesa del solstizio di inverno, che psicologicamente viene da me accolto in maniera positiva, perché segno delle ore di sole che aumentano.




I periodi che abbattono, fisiologicamente o meno, sono dei pedaggi da pagare di tanto in tanto. Occorre attutire il colpo per poi respingerlo con forza. L'umore del tifoso descrive come nient'altro l'altalena interna delle persone: a me non piace vincere facile. Ed è per questo che tifo Napoli, è per questo che rischio continui travasi di bile, ed è per questo che preferisco rischiare continuamente fino a rompermi la testa, alternandomi tra un appiglio e un altro.

Rendere possibile l'impossibile, apparentemente un'impresa. La motivazione è però estrema. È una sensazione di adrenalina continua nella quale corpo e sentimenti vengono travolti. È un urlo vibrante e ricorrente. È un viaggio costante. Forse infinito. Come quell'azzurro tra il cielo e il mare. O forse no. 

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