mercoledì 24 novembre 2010

Collasso


150 anni. O quasi.
Uno stivale assemblato in maniera coatta, forzata, attaccando i pezzi alla meglio. Vari corpi estranei, apparentemente congiunti da cultura, domini, religione...
L'Italia, terra di santi, poeti, navigatori, cuochi, mafiosi, stilisti, di calciatori. Tante cose note e ignote. Diversi climi. Traffici intersecati, ingrovigliati, ingorghi strutturali di un paese lungo e stretto, frastagliato da montagne, dove imperversa la diversità ricercata, uno spirito tribale quasi obbligato.
Nessuna chiarezza, volemose bene...
Patrimonio umano inestimabile. Mille sfumature sorridenti mascherano l'ipocrisia generale. Tutto è permesso. Dopo dittature, finte democrazie ispirate ai valori cristiani. Prima, Seconda Repubblica, come le due guerre mondiali.
Raschiare il fondo del barile è solo un'ovvia conseguenza dello storto reticolato socio-politico imposto dalle dinamiche pregresse e marce dei Savoia prima, di Craxi e Berlusconi poi.
Accomunati nelle ricorrenze piacevoli, nei baccanali pacchiani e nelle celebrazioni per la Coppa del Mondo, d'improvviso ogni piccola parte dello Stivale si spacca - o forse si stacca - facendo sentire la sua voce, partendo dal millantare un federalismo sconclusionato fino a rivoltarsi contro gli immigranti. Tattiche meschine. Nulla di nuovo.
La voce dei giovani esplode potente. Stufi di angherie, menzogne e falso perbenismo, come rappresentanti del popolo vessato, sono l'ultima risorsa di questa realtà bacata, storpiata in un secolo e mezzo da briganti, re despoti, dittatori, falsi sognatori, imprenditori e mercanti di ogni genere o saltimbanchi di un palcoscenico ormai scricchiolante.
La punta dell'iceberg - ormai affiorata quasi per completo - era stato un campanello d'allarme lanciato da tanto tempo, ma che in molti si sono rifiutati di ascoltare. La classe politica, intenta ad arraffare quanto possibile, con le mani troppo occupate a rimpinzarsi di appalti, smaltimento di rifiuti e chi più ne ha più ne metta, lascia serpeggiare il cancro maligno della criminalità organizzata, prima Anti-Stato, oggi Stato.
Terra mia, terrain vague.
Tutto e niente.
Oscillazioni e sensazioni si sparpagliano in forma ellittica. L'amore esplode ma odora di sangue, misto ai sacrifici di gente ignara, innocente, ignorante. Vedere e sentire quest'aura malvagia che pervade il mio nido, seppur da lontano, tira i muscoli dentro di me. L'impotenza. La rabbia. Tutto rode.
Stridula, la voce prova a urlare, cerca di far capire al mondo che quel poco di giusto che arranca impercettibile si muove ancora, è li ed è vivo, anche se ferito.
Chiudere gli occhi. Anche così si può vedere, si può sentire.
Oggi siamo arrivati alla fine di un binario divelto, bisogna fare un piccolo passo indietro e scegliere un'altra strada, anche se ciò implica un grosso sacrificio, necessario per rialzarsi e liberarsi di questa cappa che ci rende la democrazia meno libera del mondo, dove il silenzio e l'incapacità di esprimersi sono il pane quotidiano.
Scisso in mille pezzettini.
Cumuli di scorie avviluppati nelle viscere di una natura unica al mondo.
Guerre civili nell'etere e nelle strade.
Videocrazia.
Un grande Mercante in Fiera.

L'Italia non è questa. E' si soffocata da uno stato d'animo e fisico pregno di odio e di speculazioni, ma dopo aver perso ormai il senso del ridicolo, dopo aver palesato davanti al mondo intero problemi grotteschi, non sarà poi così difficile tramutare la voce dei dissidenti in un pugno secco, potente, contundente.

La festa in pompa magna per i 150 anni di un miscuglio di provincialismi a sé stanti può aspettare.
Sarebbe d'uopo guardarsi allo specchio, togliersi la maschera e staccarsi, per quanto possibile, dall'ipocrisia dei potenti, quella che ci ha portato fin qui, oggi.

Partendo dal basso, forse pian piano si potrebbe rialzare la testa di una realtà storpiata e dilaniata da anni di lascivia, perché noi, comunque, siamo cresciuti lo stesso.

Abbandonare il falso vittimismo e le crociate piene di dialettica e di demagogia. E' arrivato il momento di prendere i problemi di petto. Gli studenti, simbolo della voglia di rivincita giovanile, lo stanno facendo, perché impoverire l'istruzione è impoverire gli uomini.

E' giunto il momento di dimostrare che il "futuro" è anche il presente.

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