lunedì 23 novembre 2009

Nec plus ultra


Da una terrazza si possono vedere molte cose: bambini giocare per strada, gente indaffarata che si reca a lavoro, macchine imbottigliate nel traffico in cui conducenti si affannano per tornare a casa. Il ruolo dello spettatore è privilegiato, egli si trova in una posizione comoda, può osservare e non deve sforzarsi, è solo testimone di un evento che accade. Scrutare, guardare, andare oltre il campo visivo sono azioni che scivolano lente ma automatiche. Lo spettatore, l'osservatore, coglie tutto ciò che vuole semplicemene tramite gli occhi e lo trasmette al proprio cuore sotto forma di emozioni.
Ed è esattamente così che mi sono sentito io, da una semplice terrazza di un hotel, puntando lo sguardo verso un lembo di mare, una striscia di un blu forte e deciso, dietro la quale a malapena si poteva scorgere la terra spagnola.
La leggenda narra che Ercole, dopo una delle ennesime fatiche, fosse arrivato alla fine del mondo ed abbia lasciato li un avviso per i futuri avventori del luogo: "Nec plus ultra". Oltre le due colonne, oltre quello stretto corridoio dove le placide acque del Mediterraneo incontrano quelle tempestose dell'Oceano, si andava incontro alla morte, il destino era segnato ed inesorabile.
Un luogo senza tempo, un angusto lembo di mare che sembra frapporsi tra due continenti che lo stringono a più non posso, l'unico punto di accesso al mondo via mare, senza il quale il Mediterraneo non sarebbe un mare bensì un enome lago...
Ero lì, pronto a solcare le onde, pronto ad andare da un continente all'altro con il mezzo più antico mai creato, il mezzo tramite il quale il Mediterraneo ed il mondo intero erano stati scoperti, denudati, popolati.
Al salpare, mi venne in mente il mio primo viaggio in nave di cui io possa ricordare qualcosa: ero con mio padre e stavamo attraversando un altro stretto, quello di Messina, guardando a destra Scilla ed a sinistra Cariddi. Un pò intimidito, un bambino, guardavo il mare e ne percepivo l'imponenza, la maestosità, durante un viaggio di 20 minuti. Ricordo ancora mio padre che mi spiegava adesso non so cosa, ma ero rapito da quel movimento ondeggiante, la traversata mi prese completamente.
30 settembre 2009, stavolta ero sul punto di attraversare un altro stretto, ma non ho mai amato questo nome, avevo sempre considerato lo stretto di Gibilterra come l'accesso al Nuovo Mondo, l'orizzonte maestro dopo il quale c'è tutto e niente.
Ero li per caso, a cavallo tra due continenti, in una terra mitica, dove fino a pochi secoli prima nessuno aveva osato spingersi.

E li, inesorabilmente, un altro ricordo di infanzia riaffiora: mia nonna che invece di raccontarmi Cappuccetto Rosso mi narrava le avventure di Ulisse, perso ed errante cercando la via del ritorno verso la sua petrosa Itaca. In quel momento qualcosa mi ha attraversato il cuore, mi sono sentito partecipe di un'avventura, un sogno. Alla mia sinistra lo sperduto oceano si stagliava minaccioso, con le sue correnti ed la sua aura di miteriosità, mentre di fronte la rocca di Gibilterra era il punto di riferimento, la mia nuova meta.

Le note di "Like a Rolling Stone" accompagnavano il mio viaggio mentre il sole picchiava forte sul mare provocando un forte riflesso sull'acqua ed il vento accompagnava la nave, come fece Eolo con Ulisse...

Da un lato il Marocco, dall'altro la Spagna, diviso tra due realtà distinte, affrontavo la traversata con spensieratezza, vedendo le onde e sentendo il vento rinfrescarmi il viso. Pensavo. Riflettevo. Ricordavo tutte le mie precedenti avventure se così si possono chiamare, pensavo a Parigi a Gennaio con -3 gradi, pensavo che da li aveva avuto origine tutto. Ora eravamo solo io e il mare, nessun altro, ero arrivato li con le mie forze e mi sentivo parte di quella leggenda che avvolge un luogo che per molti potranno essere solo 14 km di mare, ma che per me era l'inizio e la fine, lo zenit e il nadir, tutto e niente, e per questo, indescrivibile...

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