domenica 9 giugno 2013

Fuje

Il risveglio, brusco o lieto che sia, serve per rompere o meglio spezzare l'impasse.

A volte serve una botta. Dura. Secca. Decisiva.

Non solo per svegliarti, ma per riattivarti. Non è la prima. E nemmeno l'ultima.

Il polso, malandato, stride ancora.

Il ritardo dell'estate rallenta il recupero.

Il tempo fà e disfa. Prima logora poi aiuta.

L'attesa estenuante di alcune risposte, che fluttuano nell'etere a tempo indeterminato, scandisce il passare dei giorni.

So fare alcune cose. Non so spiegarle. Nessuno mi ha insegnato.

Si impara da solo, dopo aver sbagliato, sfruttando le circostanze che galleggiano intorno a noi nel mare della vita.



Essere pronti. Cosa significa?

Credo che non sia mai davvero pronti. Lo scopriamo solo una volta iniziato il cammino.

La prima volta che entrai in acqua, a 3 anni, non ero pronto. Eppure galleggiai fin dal primo momento.

Guardare dietro serve fino a un certo punto. Per prendere gli sbagli, imparare a conviverci e poi tramutarli in certezze, in sicurezze.

Ci accompagnano periodicamente tantissimi quesiti irrisolti.

Si formano sul nostro corpo delle macchie indelebili, una sorta di tatuaggi-cicatrici che ci ricordano qualcosa. Come dei segni di un viaggio, delle tacchette di esperienza.

Fermarsi a pensare non serve. Correre, è l'unica soluzione.

Jesc' d'o bbuio, bast che fuje...

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