È incredibile di come ci si possa rendere conto di non conoscere ancora dei luoghi significativi della città che ti ospita. Ma la grandezza di Buenos Aires non aiuta, né tantomeno invita a scoprire nuove realtà. Quella che in Europa sarebbe un agglomerato di dimensioni spropositate, se non una regione, qui non è altro che la capitale, attorno alla quale si accumulano decine e decine di municipi a sé stanti, definiti il Gran Buenos Aires.
È dura, quindi, trovare un attimo di pace dal roboante tran tran quotidiano di strade intasate e di autobus che fanno a gara tra di loro nel traffico. Il sole di oggi e i 22 gradi, oltre a una mattinata incredibilmente produttiva a livello lavorativo, hanno svegliato il mio corpo dal torpore ed incoraggiato le gambe a mettersi in moto per raggiungere un angolo più quieto dove poter rilassarmi senza per forza lasciarmi andare sul letto mai fatto.
Una passeggiata digestiva di 6 km, per poi contemplare l'immensità del fiume, che ormai di argento ha solo i riflessi, ma ricorda nostalgicamente quel mare lasciato lì ad aspettare, dall'altro emisfero del globo. Mentre i vecchietti che si fermano lì a pescare hanno la stessa espressione rassegnata di coloro che 4 anni fa attendevano speranzosi che qualche pesce abboccasse sul ponte Galata di Istanbul, o di quelli che si siedono pazientemente sul moletto di Nova Icaria a Barcellona o dei poveri illusi giù alla Gajola.
Io, invece, sono sempre lo stesso. Più grande, più acciaccato e magari più saggio. Il resto lo fanno un po' di musica, che si alterna con il rumore degli uccelli durante un tentativo di leggera meditazione, e la mia macchina fotografica, sprecata per un incompetente della luce come me. I restanti 3 km che mi separano dal ritorno a casa sono quelli più pesanti, ma fanno sì che il rientro sia in qualche modo meritato. E a quel punto posso tornare a collassare sul letto, come tutti gli altri giorni.
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